giovedì 5 novembre 2015
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Per il giorno 14 Agosto era stato ordinato l’attacco della seconda linea nemica antistante.
Nei giorni scorsi avevamo ricevuto qualche tavoletta di cioccolata, ma una distribuzione regolare di viveri ci era mancata fino al giorno 7 Agosto. Al mattino del 14 furono distribuite delle pagnotte e della carne portata lassù con le casse di cottura, assicurate sulle groppe dei muli, e un’abbondante quantità di marsala. Chi ha combattuto sa che queste inusitate e copiose distribuzioni di viveri e specialmente in liquori, preludevano gli imminenti assalti!
L’attacco dovevasi iniziare verso le 13. Intanto provvedemmo a riorganizzare i reparti privi di Comandanti fino dal giorno 12. Nel frattempo era giunto in linea un altro Reggimento (mi sembra il 206°) che doveva operare col nostro, il quale decimato dalle forti perdite subite, non aveva di Reggimento che il nome, essendo, di fatto, ridotto a poche Compagnie. Specialmente gli Ufficiali scarseggiavano.
Un’ora prima dell’attacco il Capitano De Simone,
già Comandante dell’11° e che in mancanza di Ufficiale superiore dovette per la circostanza assumere il comando del nostro battaglione, riunì i pochi Ufficiali superstiti a rapporto.
Mi ricordo, come se ora lo avessi davanti, il tracciato che egli fece per spiegarci graficamente il nostro obiettivo. Dovevamo iniziare l’attacco frontale e tentare di sorprendere il nemico nelle sue posizioni (ciò che era da ritenersi impossibile perché gli Austriaci li avevamo vigili davanti alla nostra linea, forse a 50 metri). In ogni modo, se scoperti, il compito nostro diveniva quello di attirare su noi, col nostro movimento audace, il maggior fuoco possibile e permettere così agli altri reparti di avanzare alle ali di sorpresa.
Non v’è chi non veda la gravità del compito affidato ai superstiti del 97°. Il Capitano De Simone, che non ci dissimulò le sue preoccupazioni, ci invitò a parlare ai nostri soldati per prepararli, nel miglior modo, all’ardua impresa.
Io pure li riunii e dissi loro, come realmente credevo, che tanto maggiore fosse stato l’impeto dell’assalto, tante meno perdite avremmo avuto.
Del resto conclusi, voi non avete che un solo dovere: quello di seguire il vostro Capitano e me dunque. E questo dovere, essi, poveri e bravi ragazzi, lo assolsero tutti. Molti anzi s’inchiodarono su quel cammino e non tornarono indietro nemmeno quando venne l’ordine di ritirata! Povero Nardi, buono e fedele soldato del mio Plotone, come mi ricordo di te, quando, pure angustiato certo dall’estremo pensiero dei tuoi bimbi, di cui mi parlavi spesso commosso, mi dicesti nel tuo dolce dialetto veneto “Sig. Tenente, dove va lei verremo noi!” E cadde. E tanti e tanti altri così.
L’ora scoccò. L’azione doveva svolgersi simultanea con i reparti fiancheggianti e perciò, prima di balzare dalla trincea, attendemmo che essi movessero nei camminamenti laterali. Le nostre artiglierie che avevano sviluppato a pochi momenti prima un violento fuoco si erano acquietate. Il nemico pure sembrava che riposasse; forse intuiva la nostra azione e si organizzava alla resistenza, in silenzio.
L’ordine venne: Avanti!
La mia Compagnia costituiva la prima ondata.
Io seguivo il mio Capitano. I soldati, dietro di noi, balzarono sulla trincea e la superarono. Ci trovammo così allo scoperto. Alcuni cadaveri erano ancora su quel terreno, intercorrente fra la nostra e la posizione austriaca, fino dal combattimento del 12, quasi ad attenderci!
Strisciammo al loro fianco e seguitammo ad avanzare silenziosamente, carponi, con la baionetta inastata e muniti ciascuno di almeno due bombe a mano.
La trincea nemica sembrava deserta, ma non tardò ad animarsi! Volle certo il nemico che il nostro schieramento fosse completo prima di iniziare il fuoco. Ad un tratto una grandine di proiettili e raffiche di mitragliatrici c’investirono in pieno, e, sebbene fossimo a terra, molti gridi strazianti indicavano che gli austriaci, dalla loro comoda trincea, colpivano nel segno “Oh mamma mia!” era per molti, il grido dello spasimo mortale e l’estremo tenero saluto invocante!
Vinto il primo inevitabile turbamento, continuammo ad avanzare. V’era in noi tutti, ormai, il desiderio smanioso di balzare avanti, sia pure incontro alla morte certa, ma con la baionetta nel pugno nel fervore della mischia, piuttosto che indugiare si quel terreno che si copriva di cadaveri ad ogni passo, inutilmente.
La situazione diveniva di attimo in attimo più tragica. Avevo accanto a me, alla mia destra, un soldato d’altra Compagnia. Non lo conoscevo. Una pallottola gli forò l’elmetto proprio nel mezzo. Un rivolo di sangue gli colò dalla fronte. Il povero fante che era carponi come tutti, ebbe un impercettibile moto in avanti e sbarrò gli occhi nella morte. Non lo dimenticherò mai più. Istintivamente volsi il capo un po’ A sinistra e mi accomodai meglio l’elmetto. (Perché non credere a un intervento provvidenziale se solo a quel moto semplice e istintivo e a quello spostamento dell’elmetto di pochi millimetri io devo la vita?) Nel momento stesso fui colpito io pure alla testa. Ebbi la sensazione di un urto formidabile, poi mi sembrò che un’onda calda mi sommergesse; rammento vagamente di essere stato trascinato, rotolato quasi nella trincea di partenza, ché un attimo d’indugio su quel terreno scoperto, poteva essere fatale per coloro che mi trasportavano e per me. Riconobbi tra quelli il soldato Landi, attendente del mio Capitano. Mi dissero poi, che, ferito, gridavo: Viva l’Italia! ciò è probabile, ma non lo ricordo.
Ebbi la prima affrettata medicazione in trincea, poi al posto di medicazione, quindi fui trasportato all’ospedale di Gorizia, a Cormons (all’Ospedaletto della Croce Rossa n. 11), dove giunsi, quasi in istato d’incoscienza, la sera stessa del 14 Agosto 1916.
Feriti gravemente rimasero pure, dopo di me, il mio Capitano, il Capitano De Simone ed altri. Il reparto rimasto così senza Ufficiali e bersagliato spietatamente, ebbero infine l’ordine di ritirarsi: Ahimè! Quelli che lo poterono furono pochi!
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