Gorizia era un inferno! Da tutte le alture circostanti ancora ancora occupate dal nemico, piovevano sulla città martoriata proiettili di grosso calibro che scoppiavano seminando rovina e morte. Le strade erano percorse da truppe di rincalzo che si avviavano ad alimentare la battaglia. Cadaveri dappertutto: molti orribilmente mutilati.
Effettuata la consegna dei prigionieri ad un Ufficiale addetto, e lasciato momentaneamente il comando della scorta al S.Tenente Capuis (che più non ritrovai) corsi al prossimo punto telefonico per avere dal mio Comando di Brigata indicazioni precise circa la località dove avrei dovuto ricondurre questo piccolo reparto a cui si erano aggiunti alcuni militari dispersi di altri Reggimenti. Ciò necessitava far conoscere, perché nel frattempo, potevano essersi vetrificati spostamenti di linea. Mentre stavo telefonando, uno shrapnel scoppiò in mezzo alla vi; alcune pallette infransero i vetri d'una finestra e andarono a conficcarsi nella parete.
L'ordine mi fu trasmesso (comunicazione drammatica e più volte interrotta). Mi si ingiungeva inoltre, sotto la mia personale responsabilità, di ricondurre in linea, e con qualunque mezzo, quanti militari dispersi incontrassi.
Feci quello che potei, dopo varie peripizie, attraversando una zona battuta da un violento fuoco di sbarramento, giunsi con una cinquantina di uomini, di cui una buona parte rastrellati, nella posizione conquistasta al mattino, dove ancora fervevano lavori per il rafforzamento. Rivedendoci incolumi dopo la battaglia, il Capitano ed io ci abbracciammo commossi.
Il mio attendente che era venuto con la scorta prigionieri a Gorizia, mentre mi seguiva di corsa al posto telefonico fu colpito da una scheggia di granata alla mano destra e, assai gravemente ferito,fu ricoverato all'Ospedale. Io non mi accorsi della sua assenza se non quando giungemmo in trincea e solo più tardi seppi della sua ferita.
Nel pomeriggio del 12 stesso,doèpo aver respinto ancora contrattaccho nemici e riordinati il più possibile i reparti, fu provveduto al rafforzamento del terreno sistemando opportunamente le mitragliatrici. Provedemmo inoltre a sgombrare il trincerone dai cadaverinemici. Legati per i piedi con una corda, si trascinavano fino all'orlo di una boscaglia scoscesa in cui si precipitavano. Operazione lugubre ma necessaria, perché lì dovevamo stare almeno una notte. Anche i nostri Morti furono tolti ed appartaticoprendoli ciascuno con una mantellina o con altri Loro indumenti
Ho già detto che molte e dolorose furono le nostre perdite, sebbene il nemico avesse la peggio. Dei dodici Comandanti di Compagnia, cinque erano morti sul campo: Capitano Marotta, Capitano De Paola, Capitano Cesarini, Capitano Comparato, Tenente FFrisoli e due erano rimasti feriti: Capitano Fresco e Capitano Rizzo. L'unico Maggiore Comandante di Battaglione Cav. Angiono fu ferito gravemente al capo. E così in proporzione si ebbero perdite nei subalterni nei graduati e nella truppa.
Della mia compagnia cadde, gravemente colpito al petto, il mio compagno di tenda a Villafranca Padfovana, S.Tenente Gino Coen
[ "Coen Gino (1885-1917) Livornese appartenente a famiglia ebraica (figlio di Dario), era nato a Pisa il6 novembre 1885. Morì il 16 agosto 1917 a Gorizia nella 48° sezione sanitaria) per ferite riportate in combattimento. Sottotenente del 97° Regg. Fanteria, già proposto per la Medaglia d'Argento, venne decorato con Medaglia di Bronzo al Valor Militare" da Livorno nella Grande Guerra di Carlo Adorni-Ed. IL QUADRIFOGLIO-pag. 265]
Trasportato a Gorizia all’Ospedale “Fate bene Fratelli” vi morì il giorno 16. Era livornese e insieme spesso avevamo ricordato nostalgicamente la nostra città. Fra i dispersi vi furono i S.Tenenti Palazzuoli, Bevilacqua, Lemmi, Lippetti e Curti. Questi tre ultimi caduti feriti nelle mani del nemico. Della sorte del povero Bevilacqua non si seppe mai nulla di preciso: si crede che rimanesse colpito in pieno da una bomba. E tanti e tanti altri, superiori e colleghi cari, inferiori devoti e affezionati si immolarono in quel giorno. Allora non li piangemmo: l’urgenza della battaglia non ce lo consentiva; e poi tutti eravamo come trasfigurati. La Morte non ci appariva quel giorno nel suo aspetto funereo e pauroso; l’avevamo tragica sul nostro capo sempre,eppure non ci sgomentava. E’ una sensazione questa, strana, incomprensibile oggi anche a chi l’ha provata allora. Forse perché veder morire era cosa di tutti i momenti, forse perché noi stessi si viveva in un’atmosfera di morte. Ci sembrava, dico,che l’abisso fra “l’essere e il non essere” com’è nella concezione normale,si annullasse quasi, e ben poca differenza passasse fra noi, viventi come in un sogno tragico, aggrappati alla terra infida, e quei nostri Compagni immobili per sempre, ma come noi proni sulla trincea, quasi in attesa di un attacco supremo per balzare di nuovo all’assalto!
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