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Partiti da Persereano il 6 Agosto 1916, dopo tre giorni e tre notti di marcia forzata, giungemmo ad Oslavia il9 Agosto all'alba. Oslavia non era più che un cumulo di rovine e pure le artiglierie nemiche non cessavano di martellarla. In un camminamento vidi il primo cadavere. Era un nostro fante completamente equipaggiato e sembrava dormisse poichè rivolto verso il terrapieno. Era enfiato ed esalava già quel triste fetore proprio dei corpi in decomposizione. Provai ribrezzo e pietà, ma dovevamo ben abituarci a simili spettacoli, giacchè noi pure entravamo in scena.
Proseguimmo, superammo il Peuma attraversando quindi il Lenzuolo Bianco. Questa funesta quota, teatro di una lotta terribile nella notte del 6 Agosto, era cosparsa di cadaveri le cui esalazioni erano insopportabili.
Alcuni di Essi avevano avuto dalla pietà dei superstiti un'affrettata sepoltura, forse quando ancora non era spenta l'eco della battaglia. Affioravano dalla terra smossa e se ne indovinavano le forme.
Spesso su quei tumuli una croce improvvisata recava a matita, su semplice carta, il nome del Caduto.
Perchè quel nome che non durerebbe più d'una notte? che il primo soffio di vento carsico avrebbe strappato lontano, la guazza o la rugiada cancellato per sempre?
Quelli che, come noi, sarebbero passati attraverso quel cimitero recente, li avrebbero appena guardati quei nomi, poi null'altro. - Perchè dunque? Non importa. - Era quello l'ultimo pensiero di pietà fraterna pei compagni caduti, l'ultimo modo di esprimerlo nell'ora incalzante, d'insegnarlo ai sopravvenienti.
Quel cartellino tenue, infisso nel Simbolo eterno, fragile come una foglia d'autunno, era come l'estrema carezza, l'addio dei compagni superstiti, l'ultimo appello!
Ho pensato più volte tristemente a quei tumuli del "Lenzuolo Bianco" e vedo ancora i loro nomi scritti a fatica, in balia di un alito che doveva disperderli ben presto e lasciare più tristi e più soli quei poveri Morti, ignoti per sempre, involati forse alla gloria, certo a una Mamma!
Confesso che non ancora temprati alla battaglia rimanemmo assai turbati alla vista di tanta strage; era per noi la prima cruda rivelazione della guerra. Il silenzio tragico che c'incombeva era rotto di frequente da scoppi fragorosi di shrapnels che ci sbandavano momentaneamente; poi riprendevamo la nostra triste marcia. Ebbi lì, primo del Reggimento il battesimo del fuoco: una leggerissima ferita alla mano sinistra di cui ancora vedo la traccia. Un Sottotenente medico, Maestri di Parma, mi medicò. Povero compagno! attendeva da un giorno all'altro l'esonero che gli spettava per la sua età e per la qualità sua di medico condotto e quando gli giunse fu troppo tardi. Durante la battaglia del 12 Agosto rimase sepolto col Capitano medico e con altri sotto le macerie del suo posto di medicazione, su cui scoppiò terribile un proiettile di grosso calibro.
Per raggiungere il ponte sull'Isonzo e porre piede in Gorizia, dovemmo attraversare la strada Peuma-Osteria del Ponte; durante lo sfilamento il nemico, che ci aveva individuati, concentrò sul nostro passaggio, dal S. Gabriele e dal Monte Santo, un interrotto e preciso tiro d'artiglieria. Per disciplinare il passaggio delle truppe, ed evitare pericolosi agglomeramenti, attraversammo la strada battuta uno alla volta e di corsa veloce. Mi ricordo bene che prendevamo il contrattempo prima di balzare innanzi; essendo il tiro nemico eseguito metodicamente, attendevamo che il proiettile esplodesse e poi subito dopo ci si slanciava nella corsa. L'esperienza ci aveva insegnato che fra la partenza e l'arrivo di un grosso proiettile, intercorrevano alcuni istanti, sufficienti, in caso,per gettarsi aterra appena avvertito il colpo di partenza ed esporsi così il meno possibile agli effetti del tirio. Malgrado tali precauzioni, un graduato e tre soldati rimasero sul terreno. Mi ricordo anzi che nella corsa bisognava superare i loro corpi che ingombravano la strada.
Alle 17 dello stesso giorno 9 Agosto fu iniziato con le dovute cautele, pochè il nemico ci aveva ormai scorti e seguiva il nostro movimento, il passaggio dell'Isonzo su una passerella di legno per entrare in Gorizia, la città agognata. Questa passerella che già spezzata dal fuoco nemico, era stata riparata con sacrificio di uomini da un reparto del Genio nella notte dell' 8 Agosto, oscillava al nostro passaggio e sembrava irridere con la sua fragilità l'intenso bombardamento concentrato su di essa per infrangerla di nuovo. riuscimmo a passare senza perdite e a penetrare nella Città, la cui occupazione fu resa possibile dalla conquista sanguinosa, nei giorni precedenti del San Michele, del Sabotino e del Podgora, che costituivano i baluardi principali della cosiddetta "testa do ponte" di Gorizia. La Città era deserta e su di essa si accaniva la rabbia nemica impotente ad arrestare ormai il meraviglioso impeto delle nostre truppe. Ad ogni colpo seguiva un rovinio spaventoso e spesso vasti incendi, provocati da granate incendiarie, si sviluoppavano distruggendo anche le macerie. Sempre di corsa l'attraversammo e ci dirigemmo, secondo il nostro obiettivo, ad occupare una posizione avanzata ad oriente di Gorizia. A notte la mia Compagnia, la 10°,con altre del 97°, era già in ordine di combattimento sotto la quota 174 Ovest, che, allora, costituiva uno dei più importanti capisaldi della nuova linea nemica al di là dell'Isonzo.
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