domenica 9 settembre 2007

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La mattina successiva, 10 Agosto, per un tentativo di attacco alla quota 174, la nostra Compagnia si portò a prolungare la fronte di un'altra del I Battaglione che si tratteneva aggrappata ai profondi reticolati ancora intatti della nuova posizione nemica. La Compagnia in questo spostamento si trovò più volte esposta al fuoco del nemico annidato in un bosco che dovemmo fronteggiare e in parte attraversare. Gli uomini del mio Plotone il 4°, dovettero, a un certo momento gettarsi a terra per sfuggire il più possibile al fuoco intenso che ci avvolgeva. Avevamo infatti la impressione di essere circondati, perchè la fucileria nemica scoppiettava intensa da ogni parte. Sull'argine a cui eravamo addossati, si vedevano evidenti gli effetti del tiro: la terra colpita dalle pallottole saltava in aria investendoci. Non ritenni doverci fermare più oltre, anche per evitare il pericolo di perdere il collegamento con la Compagnia e rimanere isolati. Confesso che ciò fu per me, modesto comandante di Plotone, una delle eventualità che più mi preoccupavano in quei giorni, in cui, necessariamente, dovevano avvenire nei nostri reparti frequenti e veloci spostamenti di linea. La Compagnia, compiuto miracolosamente senza perdite questo spostamento, venne a trovarsi contro l'argine di un torrente che scorreva sotto la parte bassa della quota, esposta così al fuoco delle mitragliatrici sui due fianchi scoperti e con d'innanzi i trinceramenti nemici, completamente blindati, dominanti. Un soldato del mio plotone, De Marchi,cadde subito ferito alla testa e rimase pure ferito gravemente da pallottola esplosiva, di cui molto usava il nemico contro ogni convenzione internazionale, il Caporale Paccara. Il fuoco si intensificava sempre di più. Il mio Capitano Claudio Visin, piemontese valorosissimo ufficiale in S.A.P e già reduce dalla Libia, tenne con me, che ero il suo subalterno più anziano, un breve consiglio sul da farsi data la trgicità del momento e considerando la situazione nostra insostenibile. Venne tempestivamente l'ordine dal Comando di sgombrare i reticolati nemici per dare modo ad una batteria di bombarde di eseguire tiri di distruzione sui reticolati medesimi., e4 di riportare quindi la Compagnia sulla posizione di partenza. Si presentava allora una nuova difficoltà perchè dovevasi riopercorrere un ripida salita per un lungo tratto dell'altura fronteggiante le posizioni del nemico ormai in allarme e quindi esposti al tiro delle sue mitragliatrici. Fu stabilito che il reflusso dovesse avvenire a soli due soldati alla volta, ma, malgrado le precauzioni, il nemico accortosi dekl nostro movimento, cominciò a concentrare un intenso fuoco di mitragliatrici e di bombe a mano proprio sotto i reticolati dove dove stava la Compagnia. Durante il ripiegamento alcune truppe nemiche erano penetrate nel bosco e fu così che un mio collega, comandante del 3° Plotone, S. Tenente Turrini, rimase prigioniero. Nessuno allora se ne accorse ed anzi debbo dire che al nostro ritorno sulle posizioni di partenza, preoccupato della sorte di lui, che poteva essere rimasto ferito e quindi nella impossibilità diseguirci, mi offersi di ritornare nella notte a farne ricerca con una nostra pattugliaM; ma il mio Capitano ritenne che ciò non potesse farsi senza grave pericolo per noi e non acconsentì alla proposta. Fu dato disperso e solo molto tempo dopo si seppe della sua cattura.
Per trasportare il povero Caporale Paccara che, sebbene medicato alla meglio della sua grave ferita alla gamba, era in pietose condizioni, fu necessario improvvisare una barella servendosi all'uopo della giubba del soldato De Marchi ucciso e di due fucili. A sera inoltrata eravamo di nuovo, sopportando disagi inauditi e superandogravi pericoli, sulla posizione del mattino. La notte stessa e la notte successiva dell'11 agosto, la Compagnia cooperò in prima linea, sempre di fronte alla quota 174 Ovest, a respingere forti contrattacchi nemici.

giovedì 23 agosto 2007

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Partiti da Persereano il 6 Agosto 1916, dopo tre giorni e tre notti di marcia forzata, giungemmo ad Oslavia il9 Agosto all'alba. Oslavia non era più che un cumulo di rovine e pure le artiglierie nemiche non cessavano di martellarla. In un camminamento vidi il primo cadavere. Era un nostro fante completamente equipaggiato e sembrava dormisse poichè rivolto verso il terrapieno. Era enfiato ed esalava già quel triste fetore proprio dei corpi in decomposizione. Provai ribrezzo e pietà, ma dovevamo ben abituarci a simili spettacoli, giacchè noi pure entravamo in scena.
Proseguimmo, superammo il Peuma attraversando quindi il Lenzuolo Bianco. Questa funesta quota, teatro di una lotta terribile nella notte del 6 Agosto, era cosparsa di cadaveri le cui esalazioni erano insopportabili.
Alcuni di Essi avevano avuto dalla pietà dei superstiti un'affrettata sepoltura, forse quando ancora non era spenta l'eco della battaglia. Affioravano dalla terra smossa e se ne indovinavano le forme.
Spesso su quei tumuli una croce improvvisata recava a matita, su semplice carta, il nome del Caduto.
Perchè quel nome che non durerebbe più d'una notte? che il primo soffio di vento carsico avrebbe strappato lontano, la guazza o la rugiada cancellato per sempre?
Quelli che, come noi, sarebbero passati attraverso quel cimitero recente, li avrebbero appena guardati quei nomi, poi null'altro. - Perchè dunque? Non importa. - Era quello l'ultimo pensiero di pietà fraterna pei compagni caduti, l'ultimo modo di esprimerlo nell'ora incalzante, d'insegnarlo ai sopravvenienti.
Quel cartellino tenue, infisso nel Simbolo eterno, fragile come una foglia d'autunno, era come l'estrema carezza, l'addio dei compagni superstiti, l'ultimo appello!
Ho pensato più volte tristemente a quei tumuli del "Lenzuolo Bianco" e vedo ancora i loro nomi scritti a fatica, in balia di un alito che doveva disperderli ben presto e lasciare più tristi e più soli quei poveri Morti, ignoti per sempre, involati forse alla gloria, certo a una Mamma!
Confesso che non ancora temprati alla battaglia rimanemmo assai turbati alla vista di tanta strage; era per noi la prima cruda rivelazione della guerra. Il silenzio tragico che c'incombeva era rotto di frequente da scoppi fragorosi di shrapnels che ci sbandavano momentaneamente; poi riprendevamo la nostra triste marcia. Ebbi lì, primo del Reggimento il battesimo del fuoco: una leggerissima ferita alla mano sinistra di cui ancora vedo la traccia. Un Sottotenente medico, Maestri di Parma, mi medicò. Povero compagno! attendeva da un giorno all'altro l'esonero che gli spettava per la sua età e per la qualità sua di medico condotto e quando gli giunse fu troppo tardi. Durante la battaglia del 12 Agosto rimase sepolto col Capitano medico e con altri sotto le macerie del suo posto di medicazione, su cui scoppiò terribile un proiettile di grosso calibro.
Per raggiungere il ponte sull'Isonzo e porre piede in Gorizia, dovemmo attraversare la strada Peuma-Osteria del Ponte; durante lo sfilamento il nemico, che ci aveva individuati, concentrò sul nostro passaggio, dal S. Gabriele e dal Monte Santo, un interrotto e preciso tiro d'artiglieria. Per disciplinare il passaggio delle truppe, ed evitare pericolosi agglomeramenti, attraversammo la strada battuta uno alla volta e di corsa veloce. Mi ricordo bene che prendevamo il contrattempo prima di balzare innanzi; essendo il tiro nemico eseguito metodicamente, attendevamo che il proiettile esplodesse e poi subito dopo ci si slanciava nella corsa. L'esperienza ci aveva insegnato che fra la partenza e l'arrivo di un grosso proiettile, intercorrevano alcuni istanti, sufficienti, in caso,per gettarsi aterra appena avvertito il colpo di partenza ed esporsi così il meno possibile agli effetti del tirio. Malgrado tali precauzioni, un graduato e tre soldati rimasero sul terreno. Mi ricordo anzi che nella corsa bisognava superare i loro corpi che ingombravano la strada.
Alle 17 dello stesso giorno 9 Agosto fu iniziato con le dovute cautele, pochè il nemico ci aveva ormai scorti e seguiva il nostro movimento, il passaggio dell'Isonzo su una passerella di legno per entrare in Gorizia, la città agognata. Questa passerella che già spezzata dal fuoco nemico, era stata riparata con sacrificio di uomini da un reparto del Genio nella notte dell' 8 Agosto, oscillava al nostro passaggio e sembrava irridere con la sua fragilità l'intenso bombardamento concentrato su di essa per infrangerla di nuovo. riuscimmo a passare senza perdite e a penetrare nella Città, la cui occupazione fu resa possibile dalla conquista sanguinosa, nei giorni precedenti del San Michele, del Sabotino e del Podgora, che costituivano i baluardi principali della cosiddetta "testa do ponte" di Gorizia. La Città era deserta e su di essa si accaniva la rabbia nemica impotente ad arrestare ormai il meraviglioso impeto delle nostre truppe. Ad ogni colpo seguiva un rovinio spaventoso e spesso vasti incendi, provocati da granate incendiarie, si sviluoppavano distruggendo anche le macerie. Sempre di corsa l'attraversammo e ci dirigemmo, secondo il nostro obiettivo, ad occupare una posizione avanzata ad oriente di Gorizia. A notte la mia Compagnia, la 10°,con altre del 97°, era già in ordine di combattimento sotto la quota 174 Ovest, che, allora, costituiva uno dei più importanti capisaldi della nuova linea nemica al di là dell'Isonzo.
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lunedì 20 agosto 2007

Introduzione

Da assai tempo avevo pensato di scrivere i miei ricordi di guerra, ma appena mi ci provavo ne desistevo subito domandandomi: Perchè scrivo e per chi? Tutti i miei sanno, delle narrazioni fatte più volte, gli episodi salienti della mia breve campagna: agli altri nulla o ben poco può interessare.
Ma oggi lo scopo c'è.
Desidero che Mario un giorno, quando potrà comprenderle, legga queste pagine e le conservi. E poi se avessi tardato oltre, molti degli episodi che oggi posso narrare mi sarebbero sfuggiti, come ora ho solo un vago ricordo di tanti piccoli fatti, forse assai interessanti, che non furono fermati a tempo.
Per queste ragioni ho scritto queste pagine e a Mario le ho dedicate. Ma non posso non dire qui, al mio bimbo, che a un Altro avrei potuto e forse dovuto offrirle.
A"Nonno Turno" che nel ricordo garibaldino sentì gli entusiasmi e le ansie della nostra guerra;che, quando partimmo, pianse solo nell'anima tutte le sue lacrime mentre a noi dette incoraggiamenti e consigli. Ma la sua fibra, nell'angosciosa attesa, rimase irreparabilmente scossa. Povero Babbo! Quando ferito , ritornai a Livorno, volle per primo ricevermi alla stazione: mi ricordo che mi sostenne Egli stesso fino all'ambulanza. Potrò mai dimenticarmi il pallore del Suo viso in quella notte e le Sue lacrime silenziose?
Oh certo Egli è morto un po' anche per noi!

Tenente ENRICO MARTOLINI
97° Fanteria

Dedica

A MARIO,


perchè leggendo un giorno queste brevi pagine di guerra, vere perchè vissute, sappia e comprenda quanto sacrificio di sangue e di lacrime fu offerto dai figli generosi e dalle madri eroiche per la grandezza e la libertà della Patria italiana

In ricordo di mio nonno Enrico Martolini

In questo blog desidero pubblicare le pagine di un libretto scritto da mio nonno Enrico Martolini nel 1924 nel quale si rievocano alcuni giorni della guerra del '15 '18.

Lo faccio con piacere, rispetto e riconoscenza verso un nonno che non ho mai conosciuto, ma che ho sempre amato e rispettato attraverso le parole e i ricordi dei miei genitori.

Enrica Martolini