Dal giorno 9 eravamo quasi digiuni perché i rifornimenti non giungevano e le poche provviste in viveri di riserva erano quasi esaurite. La sete poi ci tormentava. Ma ciò che maggiormente influiva sulla spossatezza delle nostre truppe, più che i disagi, la mancanza assoluta di riposo: Fino dalla notte del 7 Agosto non avevamo chiuso occhio e pure dovevamo apprestarci a più gravi cimenti. Il riposo ed il sonno, dopo un lungo, dopo un lungo periodo di disagi, sono tali necessità per il nostro corpo che superano ogni bisogno, vincono ogni altro sentimento. La fame e la sete si possono sopportare a lungo, ma il bisogno di riposo si impone ai nostri sensi anche se il pericolo ci incalza o ci sovrasta. E' inflessibile. Tutti i combattenti lo sanno.
Nei fugaci momenti di tregua ciascuno riconosceva se stesso nel volto dei compagni: barbe lunghe e incolte, occhi un po' dilatatai con lo sguardo incerto come errante in una visione lontana, fuggevole e, diffuso sulle guance, quel pallore caratteristico della lunga stanchezza senza ristoro.
Mi ricordo che per una notte dovemmo sostare per una notte in un campo di lino, nei pressi di una villa abbandonata: ero col mio Plotone distaccato dalla Compagnia che dovevo raggiungere, secondo gli ordini, all'alba su una altura circostante. Del mio Battaglione era con me il S. Tenente Casali Ufficiale Zappatore, col suo reparto. Il nemico non dava tregua, ma
la stanchezza si appesantì su noi e nessuno pensò di muoversi sebbene sul nostro capo miagolassero le pallottole, ininterrottamente. Al mio fianco era cone sempre il mio attendente Giuseppe Vanni, fedelissimo. Pur avendo coscienza del pericolo, nessuno volle nè potè privarsi di quel po' di riposo! Se dovessi anzi dire la impressione provata in quei momenti, oserei affermare che quell'intenso fuoco di fucileria, tanto vicino alle nostre teste da radere gli arbusti in cui eravamo affondati, ci dava quasi soltanto un senso di molestia, perché ci disturbava nel sonno!
La sera dell'11 una nostra sezione di bombarde, con tiri metodici e precisi,aveva in parte smantellato un trincerone blindato austriaco che scorgevasi benissimo sulla quota 174. Ci fu, la sera stessa, gran rapporto di tutti gli Ufficiali del 97°. il Colonnello Brigadiere Arturo Nigra, che aveva il comando dell'azione, parlò conciso e rudemente concluse così: "Hanno veduto quel trincerone? Stanotte, o domani all'alba, dev'essere nostro. A qualunque costo, m'intendono?!" Parole crude queste, che chi le udì quella sera, in mezzo all'oscurità di quel bosco infido, non le dimenticherà più mai. Si comprese da tutti che era un grave cimento poiché noi occupavamo una quota fronteggiante le ben munite posizioni del nemico; dovevamo perciò discenderla allo scoperto ed aggrapparci alle pendici opposte della quota 174 Ovest, da cui gli austriaci dominavano. Mi ricordo, come ora, che vidi, e pur troppo per l'ultima volta, l'amico mio S. Tenente Canessa del 2° Battaglione, seduto a terra, appoggiato ad un tronco d'albero. "Carlino come va?" gli dissi "ritorneremo a Livorno?" Mi rispose ciò che anch'io in quel momento pensavo "Sarà difficile!" Fu profeta per sé: poche ore dopo cadde all'assalto nelle linee nemiche e nemmeno le sue ossa poterono ritornare! [ Canessa Carlo (1889-1916) - Figlio di Giulio Cesare, era nato a Livorno il 27 agosto 1889. Morì in combattimento sul Medio Isonzo il 12 agosto 1916. Sottotenente del 97° Regg. Fanteria, fu decorato di Medaglia d'Argento al V.M. - da: LIVORNO NELLA GRANDE GUERRA di Carlo Antoni editrice "Il Quadrifoglio"]
venerdì 25 aprile 2008
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